Alzi la mano chi non ha sentito dire, almeno una volta, che: ” portare un bambino in un supporto non ergonomico o in posizione non ergonomica causa displasia alle anche”.
Come consulente babywearing, questo tema è di fondamentale importanza per me.
Come mamma di due bambine displasiche, mi sta tanto a cuore.
Vi spoilero subito la conclusione del discorso, così tagliamo la testa al toro! 🙂
Se un bambino è sano, non potremo fargli venire la displasia delle anche, qualunque sia il modo in cui lo portiamo.
Ma nei soggetti predisposti, il modo in cui li posizioniamo in fascia, marsupio o semplicemente tenendoli in braccio, può incidere negativamente o positivamente sul quadro generale.
Ora facciamo un passo indietro e riprendiamo il discorso dall’inizio.
Che cos’è la displasia dell’anca?
La displasia evolutiva dell’anca è una malformazione congenita, che porta gradualmente la testa del femore a dislocarsi dalla cavità acetabolare, destinata a contenerla e a farla ruotare al proprio interno. Questo difetto si deve ad un anomalo sviluppo dell’articolazione coxo-femorale in epoca intrauterina. L’instabilità dell’anca, monolaterale o bilaterale, può impedire al bambino di camminare correttamente e, se non trattata, può portare alla lussazione.
L’eziologia precisa della displasia dell’anca è sconosciuta.
Viene considerata una malattia ereditaria favorita da una predisposizione genetica. Tuttavia vari fattori ambientali possono incidere sulla sua manifestazione: primogenitura (i muscoli addominali della madre sono meno elastici); gemellarità; presentazione podalica, macrosomia fetale (feto con peso alla nascita > a 4kg) tra i più comuni. Colpisce prevalentemente le femmine e sembra interessare circa l’1-2% dei neonati nel nostro paese.
Le ossa dell’articolazione dell’anca dei neonati sono molto più morbide di quelle dell’adulto, in quanto alla nascita sia le ossa del bacino che la testa del femore sono prevalentemente cartilaginee. Per questo è più facile che l’anca di un bambino diventi disallineata (sublussata) o dislocata rispetto a un’anca adulta.
Ci possono essere diversi tipi di condizioni:
▪️ Anca normale;
▪️ Immaturità fisiologica, in cui le anche hanno una conformazione “normale”, ma presentano un ritardo di ossificazione lieve da considerare come “fisiologico” perché in grado di normalizzarsi spontaneamente entro il terzo mese di vita. Non richiedono terapia;
▪️ Displasia, in cui la testa femorale è contenuta nella cavità acetabolare ma la cavità stessa non è completamente sviluppata
▪️ Sublussazione, in cui la testa femorale è solo parzialmente al di fuori della cavità acetabolare;
▪️ Lussazione, in cui la testa femorale è completamente al di fuori della cavità acetabolare.
Come si fa la diagnosi?
Ci sono diversi metodi per rilevare una displasia dell’anca: nella prima visita successiva alla nascita, la manovra di Ortolani consente di evidenziare il difetto. Il medico afferra le ginocchia del bambino e le piega a 90°
verso il bacino, quindi allontana, divarica e rotea le cosce. Uno scatto avvertibile durante questo movimento indica la fuoriuscita della testa del femore dall’acetabolo.
Nei casi più lievi e nelle forme di immaturità fisiologica questo tipo di manovre spesso non evidenzia niente di anomalo, per questo è importante eseguire l’ecografia di screening, entro il terzo mese di vita . In bambini più grandi e adulti invece, si ritiene più appropriata una radiografia.
Qual è il trattamento?
So bene come ci si sente quando ci viene comunicato che le anche del nostro bambino “non stanno bene”..la parola displasia suona così male che subito sembra cascarci il mondo addosso!
La buona notizia c’è: anche nel peggiore dei casi, con trattamento adeguato, si arriva a guarigione.
Il trattamento varia a seconda della gravità della displasia dell’anca e comunque si basa sul mantenimento della testa del femore in una corretta posizione all’interno della cavità acetabolare, la famosa posizione ad M .
Le linee guida mediche per la displasia dell’anca prevedono che il bimbo sia posizionato in modo che le gambine abbiano un angolo di apertura che va da 40° a 75° e un angolo di accovacciamento del bimbo che va da 90° a 120° (Kirkilionis, 2014:43) (Büschelberger, 1964:535-548) (Fettweis 2004).
In particolare il trattamento prevede che:
– Nei casi di immaturità fisiologica vengano consigliate norme posturali da adottare con il bambino.
– Nei casi di displasia lieve o media diagnosticati entro il primo mese di vita, si utilizzino dei divaricatori mobili a mutandina di materiale plastico da far indossare al piccolo. Il doppio pannolino viene oramai sconsigliato in quanto non aiuta in nessun modo la corretta posizione delle anche.
– Nei casi di displasia severa o che viene diagnosticata oltre il quarto mese di vita occorre utilizzare un divaricatore fisso, che deve essere portato per diversi mesi.
– Nel caso in cui la displasia sia molto grave si ricorre all’ingessatura , se non si ottengono risultati soddisfacenti, occorre procedere con un intervento chirurgico per risolvere la situazione. Si tratta di due terapie utilizzate molto raramente, soprattutto grazie alla diagnosi tempestiva che evita il ricorso a questi metodi così invasivi.
E il babywearing?
Il babywearing ricopre un ruolo importante nella prevenzione della displasia, in particolare per i casi di immaturità fisiologica.
In molti casi infatti, queste forme si risolvono spontaneamente senza bisogno di divaricatori, se il bambino viene tenuto più tempo possibile nella corretta posizione ad M.
Alla luce di questi dati l’uso della fascia portabebé (o di qualsiasi altro supporto ergonomico) è da considerarsi come misura preventiva rispetto alla displasia dell’anca e come coadiuvante all’uso dell’eventuale divaricatore.
Non è infatti l’atto di portare i bambini in fascia a poter provocare displasia all’anca, ma la modalità di portare che può incidere negativamente nei soggetti predisposti.
E fino al momento dell’ecografia (che ora viene fatta solo nei soggetti a rischio, non più a tutti i bimbi), noi non possiamo sapere come stanno le anche del nostro bambino. Quindi portare in modo corretto è utile sia come modalità preventiva, che in generale per offrire al bambino una posizione comoda e rispettosa del suo sviluppo fisiologico.
Qual è allora la posizione che aumenta il rischio di displasia all’anca e quale invece la previene?
Al momento le evidenze scientifiche mostrano che limitare la mobilità delle gambe del bambino, bloccandole insieme e vicine (come si faceva una volta fasciando i bambini), può determinare un’instabilità delle anche. È fortemente sconsigliato anche lasciar penzolare le gambine, perché la forza di gravità e il tipo di movimento (avete presente come dondolano le gambe di un bebè in un marsupio con la seduta stretta, mentre il genitore cammina?) portano la testa del femore ad allontanarsi del centro dell’acetabolo. La posizione ad M , con le ginocchia più alte del sedere ed aperte, è la postura più adeguata e protettiva per la corretta maturazione delle anche.
Attualmente si consiglia di mantenere la posizione fisiologica dei bimbi (sia che vengano portati nei supporti, sia che vengano tenuti in braccio, trasportati in passeggino/ovetto, cambiati, allattati, durante il gioco, mentre dormono), il che significa permettere al bambino di mantenere nei primi mesi la sua posizione rannicchiata, con le ginocchia raccolte verso il petto. Successivamente si può portare in posizione divaricata seduta man mano che il bambino, crescendo, acquisisce autonomamente questa postura.
Ciò che un buon supporto deve fare è quello di adattarsi al corpo del bimbo seguendone la crescita e sostenerlo da incavo del ginocchio ad incavo del ginocchio.
È possibile portare i bambini trattati con divaricatori?
Vi posso assicurare che tenere in braccio un bimbo con questo tipo di dispositivi medici può essere fastidioso sia per il bambino che per il genitore perché le parti rigide dei divaricatori creano delle pressioni che possono far male. Per il genitore è anche molto faticoso: il peso del bambino si avverte di più, perché bloccato nel divaricatore risulta molto più pesante, come fosse un peso morto.
Per questo motivo utilizzare un supporto porta bebè è un grande aiuto nella gestione quotidiana del bambino, che inoltre in fascia percepisce meno la costrizione del tutore ed è più tranquillo.
La fascia o il marsupio fanno da “supporto” ulteriore al divaricatore, ma non sono in nessun modo sostituibili ad esso, perciò si può portare il bimbo con un portabebè tenendo il tutore. In accordo con il
medico curante si può portare senza tutore nei casi in cui il bambino è in via di guarigione ed ha ridotto il numero di ore con il divaricatore (il cosiddetto “svezzamento” da tutore).
Per quella che è stata la mia esperienza personale posso dire che è possibile portare con tutti i tipi di supporti ergonomici, che dovranno semplicemente accompagnare la posizione data dal divaricatore al bambino. In questi casi infatti non c’è bisogno di preoccuparsi della “seduta” del bambino, che ha già la sua postura stabilita.
Sicuramente i marsupi e i supporti semistrutturati essendo più aperti permettono un posizionamento più veloce e pratico del bimbo con tutore.
Le fasce elastiche con la loro morbidezza seguono bene e si adattano al divaricatore senza costringerlo.
Le fasce tessute richiedono un po’ di manualità e pazienza in più per essere sistemate al meglio intorno al corpo del bambino; lo spessore e la rigidità creata dal divaricatore infatti rende un po’ difficoltoso mettere in tensione correttamente il tessuto.
A conclusione voglio ricordare che, in ogni caso, si consiglia di rivolgersi ad una professionista del babywearing, che in collaborazione con il medico curante di riferimento potrà aiutarvi a trovare l’alternativa più comoda per voi!
Buon portare!
Autore: Ambra Patrizi , Consulente BWI
Per approfondimenti
Negri, L. (2015) Lasciati abbracciare. Mental Fitness Publishing
Weber E. (2007) Portare i piccoli, Il Leone Verde, Torino
http://www.ospedalebambinogesu.it/lussazione-o-displasia-dell-anca#.XtoSukQzbIU
https://hipdysplasia.org/